lunedì 31 marzo 2014

Chitarre particolari #30


Oltre la chitarra #76


La Tastiera elettronica




La tastiera elettronica è uno strumento musicale in grado di riprodurre i timbri di molti strumenti musicali attraverso un sintetizzatore, azionato mediante la pressione di tasti, analoghi a quelli del pianoforte. A volte è munita di altoparlanti interni, ma la maggior parte dei modelli necessita di essere collegata a cuffie o amplificatori esterni. Nelle tastiere odierne la qualità dei timbri degli strumenti è aumentata enormemente. Per favorire l'interoperabilità fra diversi sintetizzatori (anche non a tastiera) gli strumenti sono poi stati organizzati secondo lo standard general MIDIPoiché lo strumento è elettronico, ogni pressione del tasto invia un segnale al modulo di sintesi interno. Ogni segnale comprende le proprietà del suono, come ad esempio di che nota si tratta o il preset (lo strumento che la deve suonare) scelto. La proprietà che regola l'intensità del suono si chiama keyboard velocity. Nelle tastiere di fascia medio-alta (esempio la Yamaha mox 6) un sistema misura in quanto tempo il tasto raggiunge la posizione più bassa; tanto più in fretta, e quindi con forza, è premuto il tasto, tanto più il suono sarà forte. Inoltre in alcune tastiere, oltre a cambiare il volume del suono, a seconda della forza/velocità con cui il tasto viene premuto, abbiamo anche un cambiamento del timbro dell'effetto. Il keyboard velocity può essere attivato o disattivato e, talvolta, è possibile regolargli la sensibilità così da adattarlo alle esigenze del suono e del musicista.

StuPanda

Jonathan Safran Foer


Da bambina la mia vita era una musica che suonava sempre più forte. 
Tutto mi emozionava. 
Un cane che seguiva uno sconosciuto. 
Era una sensazione così intensa. 
Un calendario aperto sul mese sbagliato. 
Avrei potuto piangerci sopra. 
E piangevo. 
Quando finiva il fumo di un camino. 
Il modo in cui una bottiglia rovesciata si appoggiava sull'orlo della tavola.
Ho passato la mia vita imparando a sentire di meno.
Sento di meno ogni giorno.
Non ci si può difendere dalla tristezza senza difendersi dalla felicità.

StuPanda

sabato 29 marzo 2014

Chitarre particolari #29


Oltre la chitarra #75 for ladies edition


Il Synclavier




Il Synclavier, prodotto dalla New England Digital, fu un potente sistema che integrava sintetizzatore digitale e campionatore musicale, sviluppato al Dartmouth College da Jon Appleton e dai suoi colleghi. Rilasciato alla fine degli anni settanta, il Synclavier vantava campionamenti da 100 kHz archiviati in grandi dischi magneto-ottici. Si basa su due separati sistemi - voci FM e voci SAMPLE - combinati assieme sotto un'interfaccia software di controllo in tempo reale. Vi è anche la possibilità di aggiungere il sistema di registrazione Direct-to-Disk, il quale è controllato dallo stesso software. Il Synclavier è famoso per la sua profondità dei suoni, versatilità nella creazione e produzione di suoni, e nella velocità d'uso. Il Synclavier venne venduto a centinaia di artisti e studi di registrazione, spesso ad un prezzo superiore ai $200.000. Fra i primi che lo adottarono ricordiamo:
  • Pat Metheny.
  • Wally Badarou (co-autore e sessionman con Level 42 - Grace Jones - Foreigner - Robert Palmer e molti altri).
  • Michael Jackson, particolarmente nel suo album "Thriller" (1982).
  • Laurie Anderson, nel suo album "Mister Heartbreak" (1984) include parti con il Synclavier.
  • Frank Zappa, che compose con questo strumento l'album Jazz from Hell (1986), vincitore del Grammy Award. Continuò ad usarlo negli album registrati in studio fino alla sua morte nel 1993, culminando nelle uscite postume delle sue migliori opere Civilization, Phaze III (secondo Frank Zappa, il 70% di questo lavoro di due ore è esclusivamente Synclavier).
  • Il produttore Mike Thorne, che usò il Synclavier per modellare il suono di band anni '80 quali Siouxsie & The Banshees, Soft Cell, Marc Almond e Bronski Beat.
  • I Depeche Mode e il loro discografico, Daniel Miller, negli album Construction Time Again (1983), Some Great Reward (1984) e Black Celebration (1986).
  • I Genesis, nell' album omonimo (1983) ed Invisible Touch (1986).
Il Synclavier non venne prodotto a lungo, ma molti altri sistemi sono ancor oggi usati nell'industria della registrazione, particolarmente nel Sound Design di film, performance e composizioni musicali.

StuPanda 

Papa Wojtyla


Senza l'arte l'uomo resterebbe ampiamente cieco a se stesso, al proprio mondo interiore.

StuPanda 


venerdì 28 marzo 2014

Chitarre particolari #28


Oltre la chitarra #74


Il Sintetizzatore




Il sintetizzatore (abbreviato anche a synth dal termine in inglese) è uno strumento musicale che appartiene alla famiglia degli elettrofoni. È un apparato in grado di generare autonomamente segnali audio, sotto il controllo di un musicista o di un sequencer. Si tratta infatti di uno strumento che può generare imitazioni di strumenti musicali reali o creare suoni ed effetti non esistenti in natura. Attualmente troviamo anche sintetizzatori virtuali (VST), che assolvono a questo compito interamente a livello software e che si appoggiano su schede sonore interne o esterne collegate ad un Personal Computer. Il sintetizzatore è generalmente comandato per mezzo di una tastiera simile a quella del pianoforte, ma non mancano realizzazioni destinate ad essere gestite mediante il fiato, la pressione, le corde di una chitarra o altri tipi di controller come sensori a raggi infrarossi. Agli inizi del novecento il piano sonoro era stato molto sfruttato: si era arrivati ad un punto in cui i suoni e le combinazioni di questi erano state totalmente utilizzate. Infatti il sistema temperato, che divide la scala in 12 semitoni, era giunto in saturazione. Si continuò per molto tempo ancora ad usare il sistema su cui si basa Il clavicembalo ben temperato di Bach, ma in quel periodo grazie anche alla letteratura (Proust) e soprattutto all'allora nascente psicoanalisi (Freud) si sentì l'esigenza di scoprire nuove forme. Queste nuove forme dovevano rappresentare l'inconscio cercando l'inaudito (mai sentito), i primi esponenti furono: Ferruccio Busoni ed Edgar Varèse. Il limite, se si pensa che siamo agli inizi del novecento, era l'utopia di questa nuova forma che non poteva essere concretizzata. Furono due i musicisti che si accostarono a loro volta a questo argomento, in modi diversi, ma sicuramente con ottimi risultati Claude Debussy e Bela Bartok, tali da far interessare anche la musica cosiddetta colta. Il primo basando la sua ricerca sull'intuizione, il secondo facendo perno sulla ricerca. Il futurismo approdò anche nella musica tramite Luigi Russolo, utilizzando il rumore della quotidianità tramite degli strumenti chiamati intonarumori che erano delle grandi scatole generatrici di rumori di cui si variava l'altezza muovendo una particolare leva. Successivamente si ebbero strumenti quali le onde Martenot e il thelarmonium. Nascono così i primi sistemi elettromeccanici per la produzione di nuovi suoni (nuovi intervalli). Erano essenzialmente dei grandi oscillatori che intonavano il suono a varie altezze, riproducendo tutte le altezze intermedie. Il primo vero sintetizzatore polifonico fu il Novachord della Hammond degli anni quaranta, che non ebbe però particolare fortuna a causa degli alti costi. Il cinema ebbe un'influenza sullo sviluppo della musica elettronica, ma il primo strumento elettronico efficiente si ha solo nei primi anni cinquanta con il sintetizzatore di Belar-Olson realizzato negli studi della RCA frutto di una collaborazione fra scienziati e musicisti. Tale strumento raggruppava degli oscillatori analogici di grandi dimensioni per generare il suono, un modulatore ad anello con l'uscita che è la somma e la differenza delle frequenze d'ingresso e diversi filtri d'elaborazione. Ne resta qualche traccia in una collezione di album dimostrativi prodotti dalla stessa RCA al fine di diffondere le capacità timbriche dell'apparecchio. L'apparecchio era enorme, complesso da manovrare e delicato nella sua manutenzione; la programmazione delle note, del ritmo e delle (relative) variazioni timbriche avveniva attraverso un lungo nastro di carta perforata che, fatto transitare sotto ad una contattiera a pettine, permetteva di prevedere l'apertura o chiusura dei diversi circuiti. Contrariamente a quanto alcuni credono, il Synthesizer RCA non venne utilizzato nella colonna sonora del film Il pianeta proibito, di Fred McLeod Wilcox del 1956; per questo lavoro, i coniugi Louis e Bebe Barron realizzarono circuitazione valvolare originale, in grado di produrre timbriche (per l'epoca) inusitate; probabilmente, il lavoro dei Barron per Forbidden Planet rappresenta il primo esempio "nobile" di circuit bending applicato alla produzione sonora. Tra i primi compositori di musica elettronica ci fu Milton Babbitt che imitò i suoni dell'orchestra usando strumenti elettronici. Particolare importanza ebbe la città tedesca di Darmstadt sede di riunioni di musicisti dal 1956 al 1961 in cui si tennero dei corsi di fondamentale importanza per il futuro, tra i partecipanti ricordiamo: Luigi Nono, Bruno Maderna, Luciano Berio, Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen, John Cage, Edgar Varèse. Nascono le prime composizioni che non imitano più il suono di strumenti esistenti, bensì fanno del timbro il parametro principale della musica: "noi possiamo comporre il suono"; si utilizzano così le componenti microscopiche delle onde sonore a differenza di prima che si componeva su timbri preesistenti. Anche in America si verifica lo stesso con John Cage che sceglie la casualità nella composizione mentre gli altri coetanei sviluppano la costruzione timbro dopo timbro. In Francia alla fine degli anni cinquanta negli studi della televisione francese ORTF nasce la Musique concrète (Pierre Henry, Pierre Schaeffer), si usano giradischi rallentati ed ogni tipo di nuove sonorità; si sviluppano studi in tutta Europa, in Italia nasce il Centro di Fonologia Musicale della RAI nel 1954. Un passo avanti si è verificato negli anni sessanta, con l'introduzione di versioni ridotte di sintetizzatori, destinati alla creazione di timbriche inusuali, in alcuni gruppi di musica progressive; ad esempio i Van der Graaf Generator ed i Pink Floyd. Verso la fine degli anni sessanta, comparvero i primi esemplari di sintetizzatori portatili, fabbricati in piccole serie per impiego nella musica dal vivo; precursori di questa generazione furono Robert Albert Moog e Alan R. Pearlman, rispettivamente fondatori delle più note Case produttrici di questi strumenti: Moog Inc. e ARP Instruments. Il periodo fino alla fine degli anni settanta vide lo sviluppo di strumenti monofonici (possibilità di suonare un tasto solo alla volta) con tecnologia esclusivamente a sintesi sottrattiva, sviluppati su scelte progettuali diverse: ad esempio, i sintetizzatori Moog erano largamente apprezzati per il suono sempre leggermente stonato e pertanto molto ricco, mentre i prodotti ARP avevano fama di estrema intonazione e stabilità. Un'eccezione riguardava il Mellotron, strumento destinato alla riproduzione di suoni naturali preregistrati; di fatto, lo strumento disponeva di uno spezzone di nastro magnetico per ogni tasto non chiuso ad anello, bensì lasciato libero entro apposite guide contenute nel mobile sotto la tastiera vera e propria: premendo i tasti, si poteva suonare lo strumento originale. Naturalmente una tecnica di questo tipo poteva funzionare soltanto con suoni privi di sostegno, di durata limitata ai pochi secondi trasferibili sui segmenti di nastro magnetico. Lo strumento era polifonico (possibilità di suonare più tasti contemporaneamente) e la sua introduzione sul mercato discografico causò un notevole interesse. Il primo sintetizzatore analogico polifonico prodotto in serie è stato l'Eminent 310, un organo elettronico entrato in produzione nel 1971, dotato di una sezione di string ensemble (simulazione di orchestra d'archi) molto semplice. Il suo uso più celebre si trova nell'album Oxygène di Jean Michel Jarre. Ma è dall'inizio degli anni ottanta che la produzione di sintetizzatori polifonici prese il via. Gli strumenti prodotti comunque presentavano grossi problemi di intonazione e di stabilità nel tempo, oltre ad avere punti deboli nella gestione in contemporanea di oscillatori e filtri. Uno sviluppo nel senso dell'intonazione, giunse dall'industria dei semiconduttori, con la produzione di circuiti integrati per la realizzazione di organi elettronici e strumenti analoghi; nei sintetizzatori polifonici del periodo, si otteneva la generazione digitale della forma d'onda, e relativa elaborazione analogica sottrattiva; il risultato era una perfetta intonazione dello strumento, ma contemporaneamente una perdita di corposità del suono, dovuta alla perfetta messa in fase fra i generatori, situazione che non si verifica in natura, come nel caso di una sezione d'archi o di ottoni. Infatti, in un'orchestra, ogni singolo strumento crea il proprio timbro caratteristico indipendentemente dagli altri; l'insieme di questa ricca struttura armonica genera il suono polifonico al quale siamo abituati. Una soluzione giunse dalla giapponese Roland, con due serie di strumenti (Juno (vedi Juno 106) e Jupiter) che implementavano una filosofia molto interessante: utilizzo di generatori analogici, mantenuti intonati da un generatore digitale. In questo modo l'intonazione restava propria del sistema digitale, mentre ogni singolo oscillatore poteva produrre la propria forma d'onda in modo asincrono rispetto agli altri, a tutto vantaggio del realismo polifonico. Ancora, altri produttori svilupparono soluzioni in questa direzione: la ARP Instruments produsse l'ARP Omni, che impiegava un generatore digitale unico, secondo un classico schema da organo elettronico, mentre la tastiera agiva su una serie di formatori d'onda indipendenti. Lo strumento aveva una sezione di string esemble (derivata direttamente dall'Eminent 310) e questa tecnica permise allo strumento il raggiungimento di standard di realismo fino ad allora impensabili. Grande cura fu inoltre dedicata al modulo di effetto chorus (simulazione del suono prodotto da un coro), che utilizzava tre linee di ritardo in parallelo, rigorosamente tarate su tempi primi fra loro, per evitare qualunque effetto di periodicità e di artificiosità nell'ascolto. L'ARP Omni, disponendo inoltre di tre sezioni indipendenti (archi, ottoni, bassi), sia per timbro che per tecnologia utilizzata, rappresenta il primo esperimento in scala industriale di strumento multitimbrico: si noti però che la multitimbricità di ARP Omni non permetteva la vera distinzione con timbri diversi su note diverse, ma semplicemente ogni nota produceva tre timbriche diverse contemporaneamente, instradate su tre uscite indipendenti (tipicamente archi, brass e basso). Andando avanti in questa direzione, la ARP Instruments, ora in gravi difficoltà finanziarie, cedette il suo ultimo progetto, Chroma, all'americana Fender, che lo mise in commercio nel 1982 al prezzo di sedici milioni e mezzo di lire. Il Chroma disponeva di sedici oscillatori analogici, perfettamente intonati come nello stile ARP (impiegando la tecnologia charge-pump), di sedici filtri e sedici amplificatori, tutti controllati mediante un microprocessore, con possibilità di interfacciarsi ad un computer Apple per ottenere una vera polifonia multitimbrica; il risultato era (ed è) del tutto eccezionale sia sotto il profilo tecnico che della performance dal vivo. Una delle caratteristiche dell'utilizzo del microprocessore, oltre al supporto di memorie per i vari timbri a disposizione del musicista, riguarda la generazione delle modulazioni. In un sintetizzatore analogico, un modulo a controllo di tensione (v.) può essere oggetto di modulazione da parte di più moduli contemporaneamente: Keyboard Follow, oscillatore a bassa frequenza (LFO), ADSR, controlli estemporanei come pedali di espressione e/o Pitch Wheel e così via. Viene da sé che, trovandosi in un sistema di tipo analogico, la somma di tutte queste variabili porta facilmente ad errori e imprecisioni, che si traducono in inopportune stonature ed effetti non desiderati dal musicista. Il Chroma simulava tutte queste tensioni sotto forma di numeri, eseguendo la somma algebrica dei valori di tutte queste sorgenti modulanti direttamente nei registri del microprocessore, senza errore alcuno. Solo il dato finale veniva convertito in valore analogico (con un DAC a 12 bit) ed inoltrato al modulo da controllare; il risultato era ancora una volta di una precisione straordinaria. Sempre nel 1982, la giapponese Yamaha segnò un passo importantissimo in questo sviluppo, mettendo in commercio il sintetizzatore DX-7, a modulazione di frequenza a 6 operatori; lo strumento suonava splendidamente e forniva suoni di ricchezza e complessità fino ad allora impensabili (campane, molle d'acciaio, violini con l'attacco dell'archetto e così via). La sua comparsa segnò il declino dei numerosi strumenti a sintesi sottrattiva esistenti all'epoca, e aprì la strada in modo sempre più standardizzato alla tecnologia digitale. Pochi anni più tardi, fecero la loro comparsa altri tipi di sintesi digitale; in effetti, una volta poste le basi per fabbricare in larga scala strumenti gestiti da microprocessori sempre più potenti, risultò assai semplice adottare tecniche innovative per adattarsi alle crescenti esigenze dei musicisti. Da menzionare la tecnologia RS-PCM di Roland (1988), che per evitare l'effetto di suono riprodotto (opaco, poco incisivo), tipico dei numerosi campionatori dell'epoca, utilizza un generatore a sintesi additiva, controllato da un profilo descrittivo del suono originale, che poteva risiedere su economiche schedine inseribili. Il risultato è di rara brillantezza e presenza, dovuta alla vera e propria rigenerazione del suono mediante armoniche prodotte all'istante, quindi non riprodotte. Un ulteriore beneficio viene dalla quantità di memoria necessaria per archiviare i suoni o adottarne di nuovi: laddove un campionatore necessita di archiviare le forme d'onda per intero, con grande dispiego di memoria, la tecnica RS-PCM richiede soltanto di memorizzare il modo (il profilo) con cui la sintesi additiva deve essere articolata. Questa tecnica è tuttora utilizzata nei pianoforti digitali della stessa Casa. Partendo dal presupposto per il quale il timbro caratteristico di un dato strumento è prodotto dalla fondamentale più una determinata distribuzione delle armoniche, è possibile ricreare un suono naturale partendo dalla somma di un certo numero di frequenze fondamentali (segnali sinusoidali) e distribuendole nello spettro sonoro. Tale tecnica, pur permettendo teoricamente di poter riprodurre qualsiasi suono esistente, in realtà è di estrema complessità; infatti, laddove la sintesi sottrattiva agisce su un consistente numero di armoniche, già patrimonio del segnale grezzo originale, qui abbiamo la necessità di controllare un numero elevatissimo di componenti, che molto probabilmente andranno modulate individualmente, per ottenere una risposta convincente all'ascolto. Si tratta pertanto di una tecnica complessa, che non ha incontrato molto successo nella produzione industriale di strumenti musicali elettronici (è però interessante nell'ambito della ricerca). Da un generatore di segnale con elevata produzione di armoniche (ad esempio onda quadra, onda triangolare, dente di sega, etc) si interviene con un sistema di filtri allo scopo di modificare il timbro e quindi la forma d'onda. Esempi di sintesi sottrattiva si possono ritrovare anche negli strumenti musicali tradizionali dove la selezione del timbro è ottenuta in maniera meccanica tramite la cassa armonica come nella chitarra o nel violino. È inoltre possibile variare frequenza del filtro (cut off) ed il fattore di merito Q (Peak o resonance) tramite opportuni controlli. I filtri possono essere realizzati con tecnologia analogica (reti RC o componenti discreti) oppure nel dominio digitale tramite dsp. Altri parametri fondamentali nella catena di sintesi analogica sono l'inviluppo (ADSR), il controllo del volume (VCA) e gli effetti di vibrato (LFO). I primi sintetizzatori a sintesi sottrattiva erano implementati tramite sistemi modulari analogici dove era possibile interconnettere e controllare ogni modulo a piacimento. In seguito sono stati sviluppati i primi sintetizzatori normalizzati dove l'utente poteva scegliere fra alcune configurazioni di base scelte dal costruttore. Una grande rivoluzione è stata l'implementazione della sintesi sottrattiva nel dominio digitale, dove un semplice DSP può sostituire le funzioni centinaia di moduli analogici. Alcuni esempi di celebri sintetizzatori analogici a sintesi sottrattiva sono i sistemi modulari Moog, i giapponesi Korg Monopoly, e Roland Jupiter 8 ed gli americani Arp 2600 e Sequential Circuits prophet 5. Tra i sintetizzatori digitali a sintesi sottrattiva ricordiamo in Clavia Nord Lead, Roland JP8000 e korg MS 2000. Sistema di sintesi del suono che si basa su una concezione corpuscolare del suono; questo viene quindi generato mediante lo sviluppo di grani sonori che vengono poi sommati per generare suoni complessi. Sperimentata da John Chowning presso il centro CCRMA della Stanford University, questa tecnica è divenuta di grande popolarità tramite una fortunata serie di sintetizzatori prodotta dalla giapponese Yamaha, a partire dal 1982. Il concetto parte dalla possibilità di modulare in banda audio la frequenza di una fondamentale mediante un altro segnale (puro cioè sinusoidale nelle prime versioni commerciali Yamaha, di complessità differente nelle implementazioni successive): sotto questa azione, il segnale modulato modifica la propria fase in funzione del segnale modulante, perdendo così la caratteristica di segnale puro e arricchendosi di nuove armoniche; il risultato è estremamente variabile in funzione del rapporto aritmetico fra le frequenze e dell'ampiezza del segnale modulante: maggiore è l'ampiezza del segnale modulante, maggiore sarà la distribuzione di armoniche nel segnale fondamentale. Ciò permette di ottenere timbriche di eccezionale verosimiglianza, soprattutto operando con combinazioni di più generatori (nel caso di Yamaha, fino a sei nel sintetizzatore DX-1) e operando sullo schema di combinazione dei generatori (detti operatori), sull'inviluppo di ampiezza e di frequenza degli stessi. Questo procedimento è molto più vicino alla generazione naturale del suono di quanto si immagini; nel momento in cui il suono viene prodotto, ad esempio con una chitarra acustica, la corda viene spostata dal proprio stato di quiete e rilasciata: ciò provoca un'oscillazione della corda corrispondente alla sua fondamentale, sommata allo "sforzo" del pizzico. In questo esempio, la fondamentale della corda è l'oscillatore modulato, mentre l'andamento nel tempo della componente del pizzico rappresenta l'oscillatore modulante. L'ampiezza di entrambi degrada con l'andare del tempo, fino al naturale smorzamento del suono, ovvero si delineano due differenti curve di inviluppo per i due generatori. Il suono risultante sarà pertanto diversamente colorato in funzione dell'intensità e della modalità (dita o plettro) del pizzico. Un esempio ancora più evidente lo si trova nella tecnica slap per il basso elettrico, o nelle varianti del pianoforte acustico (piano elettrificato Yamaha, piano a puntine). Nel caso degli archi, è lo sfregamento dell'archetto sulla corda a creare la componente modulante. Non a caso, la modulazione di frequenza e di fase trova l'eccellenza nella riproduzione proprio di queste categorie di strumenti. 

StuPanda 

Kurt Cobain


Le parole fanno schifo. 
Voglio dire, tutto è già stato detto. 
Non ricordo l'ultima volta che ho avuto una vera conversazione. 
Le parole non sono importanti come l'energia che viene dalla musica, soprattutto se dal vivo.
La musica è energia. 
Una sensazione, un'atmosfera. 
Sentimento.

StuPanda 

mercoledì 26 marzo 2014

Chitarre particolari #27


Oltre la chitarra #73 for ladies edition


Il Pianoforte digitale



Il pianoforte digitale è uno strumento integralmente elettronico, particolarmente mirato però a riprodurre le sonorità ed il tocco del pianoforte acustico. Rappresenta così un compromesso tra il pianoforte vero e proprio e gli strumenti elettronici a tastiera, normalmente assai lontani dalle possibilità espressive e dal mondo artistico del pianoforte. Di dimensioni decisamente più ridotte dell'omologo tradizionale, è particolarmente indicato per chi abbia necessità di trasporti frequenti o di fare uso della cuffia. Non avendo bisogno di accordatura, spesso viene anche scelto per la collocazione in località isolate (esempio classico, le seconde case). L'uscita MIDI offre la possibilità di connessione ad altri strumenti elettronici e a personal computer. Nella maggior parte dei casi, la memoria interna (wavetable) dei pianoforti digitali contiene pochi campioni per ciascuna nota, corrispondenti a quattro diversi livelli della dinamica (ad es. pianissimo, piano, mezzo forte, forte). Da questi quattro campioni si ottengono, attraverso un processo di interpolazione che modifica l'inviluppo della forma d'onda, i 128 diversi livelli di dinamica previsti dal sistema MIDI. Naturalmente, ad un numero maggiore di campioni per ciascuna nota corrisponde una maggiore fedeltà del suono. Lo sforzo dei produttori si concentra quindi nell'aumento della capacità della memoria interna (per avere campioni di qualità più alta) e nell'aumento del numero delle voci di polifonia. Un numero più alto di voci di polifonia rende infatti possibile un uso naturale del pedale destro, che prevede la risonanza di tutte le corde; inoltre un valore elevato di polifonia permette l'adozione di campioni stereofonici (ogni singolo campione richiede due voci di polifonia) e una resa acustica molto più realistica. Oltre a uscite MIDI presenti in questo strumento si hanno anche un'uscita per Memory Card, un'uscita Jack per le cuffie, un'uscita doppia per i cavi collegabili ad amplificatori ed infine un'eventuale uscita, presente solo in alcuni modelli, per collegare un pedale che amplifica il suono e lo rende continuo; così viene a crearsi la stessa amplificazione del pianoforte. Il pianoforte digitale è dotato di una tastiera pesata il cui funzionamento imita quello della meccanica di un pianoforte acustico tradizionale. I modelli più economici utilizzano tasti di plastica e un sistema di molle che cerca di approssimare la risposta dinamica di un tasto a martelletti, con esiti non sempre all'altezza. I modelli più perfezionati hanno tasti in legno e una meccanica a martelletti in miniatura, ma mentre nel pianoforte acustico i martelli servono a percuotere le corde e quindi a produrre il suono, nel pianoforte digitale i martelli servono solo a simulare il peso e l'inerzia naturale del tasto. Ne consegue che, mentre nel pianoforte acustico i martelli (di legno ricoperto di feltro) sono montati immediatamente al di sotto della cordiera, nel pianoforte digitale ogni martello (realizzato in metallo) è contenuto nella cavità corrispondente a ciascun tasto. Sebbene i modelli più avanzati ottengano risultati di tutto rispetto, la maggior parte dei pianisti considera la sensazione data da una tastiera tradizionale (specialmente se di pianoforti a coda, ma anche di buoni pianoforti verticali) di gran lunga più soddisfacente. Inoltre negli strumenti più sofisticati è stato recentemente introdotto l'utilizzo dell'avorio sintetico che ricoprendo il tasto dona una particolare porosità. In ogni caso, soprattutto nei nuovi pianoforti, si ottengono dei risultati molto soddisfacenti. Il vero tallone d'achille di un'emulazione digitale di un pianoforte acustico è proprio nella fase finale di generazione del suono, nel sistema di amplificazione e diffusione. Un pianoforte tradizionale (verticale o a coda) ha delle proprie peculiarità nella produzione e diffusione del suono che rendono lo strumento reale davvero molto difficile da emulare in senso stretto. Basti pensare che il rumore della percussione del martello avviene in un punto sulla corda, il rumore dei leveraggi del tasto avviene in un altro punto sulla tastiera, il suono della corda avviene facendo risuonare arpa e mobile, ecc ... Questi fenomeni creano una "spazialità" nel suono che è praticamente impossibile da ricreare con una coppia di diffusori stereo. Molti produttori (specialmente nei modelli di punta a coda) ricorrono a complessi sistemi di multiamplificazione e linee di ritardo e spostamento di fase che consentano di ricreare nel punto di ascolto privilegiato (quello del pianista) una buona verosimiglianza con il piano acustico. Va comunque rilevato che l'amplificazione è condizionante solo nel momento in cui l'esecuzione avviene dal vivo. Per esecuzioni destinate alla registrazione le considerazioni che vanno fatte sono quasi opposte, tanto che in moltissime produzioni di basso e medio livello si tende a preferire la registrazione di un pianoforte digitale alla (complessa e costosa) ripresa di un vero pianoforte acustico (che deve essere di buona qualità, perfettamente accordato, suonato senza possibilità di editing MIDI successivamente, ecc.). La presenza di un sistema integrato di amplificazione del suono permette ai produttori l'inserimento (sui modelli di fascia medio-alta) di ingressi microfonici, attraverso i quali è possibile amplificare la voce di un eventuale solista o il segnale di una chitarra acustica; il segnale mixato può essere catturato dall'uscita linea del pianoforte digitale e inciso attraverso un comune apparecchio di registrazione. È anche per questo che i pianoforti digitali a generatori elementari o a campioni (precedenti quindi alla tecnologia a modelli fisici) sono dotati di unità effetti in grado di processare il segnale interno e il segnale ausiliario attraverso una serie di algoritmi matematici che riproducono gli effetti di riverbero, eco, flanger, chorus etc. Recentemente si stanno facendo passi da gigante, puntando molto sull'amplificazione. Per esempio molte case hanno prodotto pianoforti digitali dotati della coda: qui viene generato il suono, analogamente a quanto succede nei piani acustici, migliorandone la resa. Come detto più sopra, la generazione a modelli fisici analizza il suono originale nella sua complessità e non nelle sole componenti elementari, permettendo di ottenere una riproduzione (è più corretto parlare di una ri-generazione) del suono con le modalità del progetto. In altre parole, laddove per un pianoforte campionato si può scegliere se includere il riverbero del locale nel quale i campioni sono stati registrati, oppure arricchire il suono con un modulo separato di riverbero digitale, un pianoforte a modelli fisici disporrà già della struttura sonora delle corde percosse, della vibrazione di altre componenti dello strumento, dei riflessi acustici della cassa del piano e così via e non necessiterà quindi di post-trattamento del segnale. Avendo poi a disposizione detti modelli, il pianoforte a modelli fisici potrà consentire un certo margine di modifica del suono prodotto, in cui il musicista potrà impartire ad esempio una arbitraria profondità della cassa, uno smorzamento dato da un particolare tipo di trattamento del legno e altri dettagli, estremamente complessi quando non impossibili da realizzare, se simulati in modo tradizionale.

StuPanda 

Luigi Pirandello


Vorrei saper la musica per esprimere, senz’essere inteso da nessuno, neppure da Te, tutto questo tumulto di vita che mi gonfia l’anima e il cuore. 
Nessuno lo saprà mai, cara Marta, anche se il mio cuore ne dovesse scoppiare. Basta. 
Quest’esilio finirà tra poco. 
Salutami la Mamma e Cele, e Tu abbiti tutte le più vive cordialità dal tuo Luigi Pirandello.

StuPanda

lunedì 24 marzo 2014

Strumenti musicali particolari #35




Oltre la chitarra #72


L'Organo elettrico



L' organo elettrogeno è uno strumento musicale che fa parte degli elettrofoni. Le sue parti principali sono i generatori, che producono frequenze corrispondenti alla scala temperata, i filtri, che formano il timbro e l'intensità del suono, l'amplificatore e gli altoparlanti. L'organo elettrogeno ha le dimensioni di una spinetta ed ha una grande varietà di timbri. L'organo Hammond è fra i pochi che ha più tastiere e una pedaliera.

StuPanda 

Eminem


Perditi nella musica nel momento in cui ti appartiene.

StuPanda 

domenica 23 marzo 2014

Strumenti musicali particolari #34


Oltre la chitarra #71 for ladies edition


Sega Musicale O sole mio

La Sega musicale



La sega musicale, detta anche sega cantante o sega ad arco, è uno strumento musicale atipico. Lo strumento è formato da una normale sega trapezoidale da falegname in acciaio. Si suona con un archetto da contrabbasso o violoncello. Si suona da seduti, con il manico della sega tra le cosce e la punta nella mano sinistra. La mano destra manovra l'arco mentre la sinistra regola l'intonazione piegando la lama. L'estensione può andare da due a tre ottave circa. L'intonazione delle note può essere regolata solo con l'orecchio, visto che è difficile determinare quale curvatura sia necessaria per produrre una determinata altezza. Il suono è contemporaneamente dolce e vibrante, lamentoso; può ricordare quello del theremin. Non sono possibili passaggi di agilità e note brevi, data la lunga risonanza della lama. La dinamica è piuttosto limitata. Oltre al suono prodotto con l'arco, la sega può essere suonata anche con bacchette morbide, creando un effetto misterioso. Sebbene sia elencata tra gli strumenti "accessori" dei percussionisti, la sega musicale richiede una certa perizia nell'uso dell'arco ed un buon orecchio melodico. Lo strumento viene quindi suonato da uno specialista, da un percussionista o da un suonatore di strumenti ad arco dotato della necessaria apertura mentale. Nasce come strumento popolare intorno alla metà del XIX secolo. A partire dagli anni 1920 ebbe un certo uso presso le orchestre di musica leggera, dei circhi, di varietà e di jazz. Tra i grandi virtuosi di questo curioso strumento va ricordato il tedesco Friedrich che nel 1928 suonò alla Staatsoper di Berlino un recital solistico diretto da Erich Kleiber. La sega compare, tra le altre composizioni, in opere di Mauricio KagelKrzysztof PendereckiAzio CorghiSalvatore Sciarrino.

StuPanda

sabato 22 marzo 2014

Strumenti musicali particolari #33


Sega musicale...esiste davvero!!

StuPanda

Oltre la chitarra #70


Oltre la chitarra #69 for ladies edition


Onde Martenot



Onde Martenot (Ondes Martenot in francese) è una tastiera analogica monofonica inventata da Maurice Martenot e presentata al pubblico nel1928Il francese Maurice Martenot, tecnico radiotelegrafista e violoncellista, iniziò a lavorare alla produzione di uno strumento musicale elettronico nel 1923, dopo l'incontro con il russo Leon Theremin, inventore del fortunato eterofono (in seguito conosciuto come theremin). L'idea di Martenot era quella di realizzare uno strumento elettronico che sfruttasse la tecnologia ideata da Theremin, ma che risultasse familiare ai musicisti abituati ai soli strumenti acustici: inserì così una tastiera standard da 88 tasti per controllare l'altezza dei suoni prodotti dallo strumento Può essere considerato direttissimo un antenato delle tastiere moderne , in quanto si basa sullo sfruttamento delle differenze di frequenza emesse da due generatori sonori (oscillatori). Ha un'estensione di sei ottave, e può produrre intervalli inferiori al semitono, glissati e diversi timbri. È stato utilizzato in formazioni orchestrali da autori come Arthur Honegger, Darius Milhaud, André Jolivet, Jacques Ibert, Edgar Varèse, Olivier Messiaen e Giacinto Scelsi. Nella musica moderna viene impiegato in alcune colonne sonore di film e da Jonny Greenwood (chitarrista dei Radiohead) che ne ha fatto largo uso negli album più sperimentali della band (Kid A/Amnesiac); è presente anche in alcuni brani del disco Marinai, profeti e balene di Vinicio Capossela, suonato da Nadia RatsimandresyOltre alle suddette variazioni timbriche proprie della tastiera, il musicista può anche scegliere, tramite appositi tasti, quale cassa acustica attivare per amplificare la voce dell'onde Martenot.le casse principali previste sono quattro, etichettate da D1 a D4, ciascuna con la sua peculiarità acustica.

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Ozzy Osbourne


Se il rock non fosse entrato nella mia vita, sarei diventato un pessimo scassinatore.

StuPanda

venerdì 21 marzo 2014

Il Mellotron




Il mellotron è uno strumento musicale a tastiera divenuto popolare tra la fine degli anni sessanta e la prima metà degli anni settanta. Usato per la prima volta da Graham Bond nell'album The Sound of '65. Successivamente è stato usato anche da altri artisti tra cui The Beatles, Moody Blues, Genesis, Rick Wakeman, Yes, i Pooh, Brian Jones dei Rolling Stones, Richard Wright dei Pink Floyd, John Paul Jones dei Led Zeppelin,Robert Fripp dei King Crimson, Robert Wyatt, Jethro Tull e Barclay James Harvest successivamente. Un esempio del suo tipico suono si può ascoltare nei primi secondi della canzone Strawberry Fields Forever, dove lo strumento, che allora era quasi sconosciuto, è suonato da Paul McCartney. Lo strumento è diventato negli anni settanta uno dei pilastri per i tessuti sinfonici molto usati nel progressive rock. Inizialmente venne creato e pubblicizzato come strumento da casa similmente ad un organo da salotto. Lo dimostrano le prime versioni dove l'imponente e artistica costruzione in legno non permetteva molti spostamenti. È considerato l'antenato dei moderni campionatori, poiché la pressione di ciascun tasto innesca la riproduzione di un segmento di nastro magnetico su cui è stato precedentemente registrato il suono di archi, cori e flauti (i suoni più comuni, ma anche violoncello e vari strumenti a fiato). La durata del campione era di 8 secondi; terminato il segmento di nastro, bisognava alzare il dito dal tasto e ripremerlo. In quella frazione di secondo una molla riavvolgeva il nastro riposizionandolo al punto di start. Inizialmente ogni modello poteva riprodurre solo un suono, e cioè quello corrispondente ai nastri installati. Successivamente fu creato un sistema a "cartucce" grazie al quale si poteva smontare il blocco dei nastri e sostituirlo con un altro differente. L'ultima versione includeva un blocco rotante con quattro sezioni di nastri con diversi suoni che potevano essere cambiati girando una manovella sullo strumento. Lo strumento era delicatissimo ed ogni pezzo di nastro doveva essere esattamente lungo come gli altri. La velocità di scorrimento di ogni nastro andava calibrata per mantenere tutti i tasti intonati fra loro. I nastri che si rompevano potevano essere sostituiti e i campioni originali erano conservati presso la casa madre. Negli anni settanta fu introdotto in Italia e largamente utilizzato da gruppi come Premiata Forneria Marconi, Le Orme, i Matia Bazar, Celeste, gli Osanna, i Pooh e molti altri. Dopo un periodo di oblio dovuto all'avvento dei sintetizzatori digitali, al notevole peso e alla proverbiale instabilità dei modelli "storici" come l'M-400, negli anni novanta è stato riscoperto grazie aband di progressive rock come Änglagård, Anekdoten, Spock's Beard, Bigelf e Landberk così come gruppi di rock più mainstream come Smashing Pumpkins, Red Hot Chili Peppers, Oasis, U2,Linkin Park e Muse. È stato utilizzato anche dai Verdena durante le registrazioni di diversi album (Solo un grande sasso, Requiem e Wow). Recentemente è stato messo in produzione il modello Mk-VI. Dal 2009 è disponibile il Mellotron M4000D, ovvero un mellotron digitale con tutte le registrazioni dei Mellotron e Chamberlin, ovviamente senza la limitazione di durata massima di 8 secondi, a suo tempo dettata dall'utilizzo del nastro magnetico.

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